Il portale della famiglia d'Amico
Il fiore a sei lati
Guida alla lettura di "Le Onde" di Virginia Woolf
Premessa
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Queste note non sono frutto soltanto del mio incontro con l'opera della Woolf, ma derivano anche da una "lettura collettiva" che per nove serate ha impegnato - assieme a me - anche un gruppetto di amici che voglio qui ringraziare sia per la tenace e paziente fedeltà sia per gli stimoli e le idee che mi hanno trasmesso: essi non hanno, naturalmente, alcuna responsabilità per le idee e le interpretazioni che sono qui espresse. Grazie dunque ad Angela, Attilia, Fiorella, Franca, Gino, Leda, Paolo, Pomo, Sima e Sandra.

L'edizione di The Waves che ho utilizzato è quella della Oxford University Press - 1992, per la cura del prof. Gillian Beer. La traduzione italiana di cui mi sono servito per dare in italiano i passi del testo originale citati in queste note è quella di Nadia Fusini, pubblicata da Einaudi nel 1995 e disponibile anche nel volume "Virginia Woolf - I Romanzi", pubblicato nel 1998 da Mondadori nella collana "I Meridiani". I passi citati del Diario sono stati ricavati da The Diary of Virginia Woolf - 5 volumi - Harcourt Brace and Company - New York 1984 per la cura di Anne Olivier Bell. Tutti i passi sono identificati dalla data e la traduzione è mia.

Il testo è chiaramente articolato in nove episodi, ciascuno dei quali è preceduto da un interludio; per rendere queste note più facilmente leggibili e utilizzabili ho - arbitrariamente - suddiviso ogni episodio in paragrafi, o sezioni, individuati dalle frasi iniziale e finale: il più delle volte, ma non sempre, questi paragrafi coincidono con i singoli monologhi dei vari personaggi. Ho utilizzato, infine, una sola abbreviazione - V. - che naturalmente sta per Virginia Woolf.

Introduzione

Virginia Woolf ha ideato e composto Le Onde negli anni che vanno dal 1927 al 1931: a quel tempo essa era già una scrittrice famosa, avendo alle spalle, fra l'altro, quattro dei suoi romanzi più noti (Jacob's Room - 1920, Mrs. Dalloway - 1925, To the Lighthouse - 1927 e Orlando - 1928) e il saggio A room of one's own - 1929 che erano stati altrettanti successi sia di critica sia di pubblico. In questo stesso periodo di tempo la sua relazione con Vita Sackville-West, che finalmente le fece superare la paura del sesso, era in piena fioritura e il suo coinvolgimento, attraverso il marito Leonard, nelle vicende politiche e sociali inglesi - e in particolare nel grande e sfortunato sciopero generale del maggio 1926 (innescato dal crollo dei salari dei minatori sotto il governo conservatore di BaldwinQuesto sciopero, durato circa una settimana e conclusosi con la sconfitta dei Sindacati, fu politicamente molto violento (per dare un'idea del clima in cui si svolse basti ricordare che la proposta di mediazione avanzata dall'Arcivescovo di Canterbury fu censurata dalla BBC che non ne diede notizia) e fu un prodromo della grande crisi economica del 1929.) - era intenso, anche se V. non era certamente un "animale politico": la mente e l'anima di V. ospitavano dunque, nell'arco di questi anni, una gamma così straordinariamente estesa di interessi, di idee, di emozioni, di attività e di progetti da farci quasi immaginare che in lei vivessero contempo- raneamente più persone differenti.

V., che è sempre stata una attentissima osservatrice del proprio mondo interiore, si rende conto di questo fenomeno e del suo atteggiamento che oscilla fra il desiderio di partecipazione alla vita intellettuale e sociale e il bisogno di ritirarsi in se stessa. Con la stessa intensità essa vive l'ambivalenza che la lega alla sorella Vanessa, di cui cerca l'affetto, perché la sorella maggiore riveste per lei una valenza materna, e con cui si sente in competizione perché Vanessa, oltre ad avere una vita sessuale appagata, ha tre figliVanessa Stephen Bell (1879-1961) ebbe dal marito Clive Bell i suoi primi due figli, Julian, nato nel 1908 e morto nel 1937 in Spagna, nel corso della guerra mentre guidava un'ambulanza, e Quentin, nato nel 1910; la terza figlia, Angelica, nata nel 1918, la ebbe invece dal suo nuovo compagno Duncan Grant.ai quali lei può opporre "soltanto" i suoi romanzi. Ugualmente V. vive la sua ambivalenza verso la vita: da un lato è spinta avanti dal suo desiderio inesausto di conoscere, di sperimentare e di esprimersi e dall'altro avverte acutamente come la vita sia assediata dal dolore e dalla morte, che possono balzarci addosso improvvisamente in ogni momentoLa giovinezza di V. fu attraversata da grandi lutti che lasciarono nella sua vita una traccia profonda: la morte della madre Julia nel 1895, quando V. aveva solo 13 anni e che causò il suo primo crollo nervoso, la morte di parto della sorellastra Stella (1897) che per lei aveva preso il posto della madre, la morte del padre Leslie nel 1904, a cui seguì il suo secondo collasso e infine la morte per tifo, nel 1906, dell'amatissimo fratello Thoby.. Molti differenti "sé" abitano dunque l'animo di V. e trovarne il senso e una composizione è un problema che la interessa a fondo e che si riversa direttamente nei sei protagonisti della nuova opera a cui sta pensando, Le Onde, che sono altrettante facce della sua complessa personalità.

Per lungo tempo il titolo provvisorio del romanzo è stato Le Falene con riferimento a una lettera che Vanessa ha scritto alla sorella il 3 maggio 1927, dalla sua casa di Cassis sulla Costa Azzurra, in cui, fra l'altro, descrive l'irruzione, una sera nella stanza in cui si trovava, di una grande falena e la invincibile tenacia dell'insetto nel dirigersi verso la lampada, verso la sorgente di luce. La falena prima e le onde poi sono una metafora della vita, anche se con due colorazioni diverse: la falena si precipita irresistibilmente verso la lampada, che la brucerà, attratta dalla luce che è vita (così come la luce del sole negli interludi del romanzo), mentre le onde, con la loro ininterrotta ciclicità, traducono l'eterna, non umana vitalità del cosmo che ha la meglio anche sulla morte, perché la morte riguarda soltanto il singolo individuo.

La temerarietà di V. nell'immaginare e nello scrivere questa opera (che si tradurrà, alla fine, nel sentimento di orgogliosa soddisfazione che V. ci descrive nel suo diario) investe tutti gli aspetti del romanzo: la struttura, la lingua, i personaggi, le loro caratterizzazioni e le loro vicende, il clima generale dell'opera che chiamiamo romanzo solo per convenzione, essendo essa molto più vicina a una composizione poetica. La vicenda che viene narrata, infatti, è solo superficialmente quella dei sei personaggi (più un settimo che esiste, ma che non prende mai la parola), in realtà è la storia del sorgere e del divampare del conflitto cruento e ininterrotto fra due pulsioni fondamentali dell'animo umano: la ricerca della felicità e la costruzione della coscienza di sé. In altri termini si può dire, forse un po' romanticamente, che in Le Onde va in scena la lotta senza esclusione di colpi fra felicità e libertà.

Questo dilemma esistenziale non si presenta qui per la prima volta; consideriamo infatti le due opere narrative più note di V., scritte prima di Le Onde: Mrs. Dalloway ci descrive gli sforzi paralleli di due donne, Clarissa Dalloway e Lucrezia Warren Smith, tesi a costruire un legame che le unisca alle persone che amano - e anche fra queste ultime fra di loro - nella convinzione che solo costruendo e difendendo giorno per giorno questo legame si dia senso alla vita. La felicità, infatti, sta nel sentimento di unità con chi si ama, unità difficile da costruire e ancor più difficile da mantenere perché le vicende della vita tendono invece a separarci, a sottolineare tutto ciò che ci divide. E così mentre Clarissa, a prezzo di molti sforzi e di qualche dolore, riesce a organizzare la sua festa, che è un successo perché tutti i suoi ospiti comunicano tra di loro, cessando di essere per qualche ora delle individualità separate per divenire una comunità, un organismo unico con una sola anima (la sua!), la povera Lucrezia invece fallisce nel suo tentativo: non riesce a stabilire un rapporto col marito Septimus che, già divorato dall'esperienza della guerra - esperienza che "divide" per definizione - si ucciderà quando i medici vorranno separarlo dalla moglie. Septimus sceglie la separazione per lui meno dolorosa.

In Al Faro V. ci dona due ritratti di donna animati da due progetti di vita opposti e inconciliabili: la signora Ramsay pone l'amore a fondamento della sua esistenza e, utilizzando la sua bellezza e il suo fascino, vorrebbe pilotare i destini di tutti verso la felicità così come lei la concepisce: una unità amorosa e quindi - vittorianamente - il matrimonio. Ma l'amore è un sentimento pericoloso e divorante che tende, sì, all'unità, ma annullando la personalità più debole in quella più forte. Così accade che Lily Briscoe, la pittrice, per raggiungere la coscienza di sé, la possibilità di rappresentare e interpretare il mondo secondo quello che lei liberamente vede e sente, deve svincolarsi dall'amore che prova per la signora Ramsay, deve farla morire per la seconda volta: solo a questo prezzo riuscirà a completare il quadro, a conquistare la propria libertà.

Il tema, dunque, del contrasto tra unità e separazione, tra libertà e felicità lo ritroviamo in tutte le opere di V.: essere felici o essere liberi sono due modi diversi, e per V. inconciliabili, di dare senso alla vita e noi consumiamo la nostra oscillando continuamente fra questi due poli, perennemente a disagio, perennemente infelici, tranne brevi istanti, perché ci sentiamo sempre cittadini di un altro paese. Le Onde è la rappresentazione più profonda e convincente di questa condizione umana perché V., pur non rinunciando a rappresentare l'infinita complessità della vita - è il secondo tema dell'opera su cui torneremo - tiene l'occhio costantemente fisso sulla sua meta principale con una determinazione feroce eliminando tutto ciò che può essere una diversione dal cammino che le sta più a cuore. I primi a farne le spese sono i sette "personaggi": è nota l'essenzialità con cui V. crea i suoi personaggi, con grande attenzione al loro mondo interiore e con scarsissima cura per gli aspetti esterni, dal nome alle fattezze fisiche, agli ambienti in cui si muovono; qui V. ha ridotto ciascuno di loro al minimo, a una assoluta monodimensionalità. Per ognuno un solo modo di essere ci viene presentato, cosicché essi non hanno nulla dell'affascinante, umanissima complessità di tutti i personaggi nelle altre sue opere (soprattutto quelli femminili) e non meritano quasi nemmeno di essere chiamati "personaggi". Essi sono figure, sono le singole facce di un unico prisma, che poi è naturalmente V. stessa o chiunque di noi lettori; ce lo conferma V. nel suo Diario in una nota dell'8 ottobre 1931 (tre settimane dopo la pubblicazione del romanzo): È strano che loro [i critici letterari, in particolare quello di The Times] lodino i miei personaggi, quando io non intendevo crearne nessuno sta dunque al lettore, come al solito, ricostruire l'unità del prisma a partire dalle singole facce.

Soffermiamoci ora per un momento sul settimo personaggio, Percival, che non interviene mai anche quando è presente. Egli è il principio ordinatore e unificatore, quando lui c'è l'unità si crea e l'oscurità del caos è sconfitta e allontanata: Percival è un eroe, un personaggio divino. C'è un passaggio decisivo, là dove, durante la cena di addio a Percival che sta per partire per l'India, un personaggio dice: Ci siamo riuniti in questo luogo particolare, in un momento particolare. Siamo stati spinti all'incontro da un'emozione comune, profonda. Perché non chiamarla appropriatamente "amore"? Perché non dire "amore di Percival", poiché Percival va in India? No, è un nome troppo piccolo, troppo particolare. Non possiamo affidare l'ampiezza e l'estensione dei nostri sentimenti a un simbolo così minuscolo. Ci siamo riuniti… per creare qualcosa non di durevole - cos'è che dura? - ma qualcosa di visibile a molti occhi contemporaneamente. In quel vaso c'è un garofano rosso. Un fiore solo mentre eravamo in attesa, ma ora un fiore con sette lati, molti petali, rosso, marrone, con sfumature viola, pieno di foglie argentate - un fiore unico a cui ogni occhio dà il suo contributoWe have come together, at a particular time, to this particular spot. We are drawn into this communion by some deep, some common emotion. Shall we call it, conveniently, "love"? Shall we say "love of Percival" because Percival is going to India? No, that is too small, too particular a name. We cannot attach the width and spread of our feelings to so small a mark. We have come together… to make one thing, not enduring - for what endures? - but seen by many eyes simultaneously. There is a red carnation in that vase. A single flower as we sat here waiting, but now a seven-sided flower, many petalled, red, puce, purple-shaded, stiff with silver-tinted leaves - a whole flower to which every eye brings its own contribution.. Quando Percival è presente si realizza una completa condivisione dell'esistenza, una totale sintonia dei cuori e delle menti: si ritrova per un attimo il Paradiso Terrestre, l'Età dell'Oro. La conquista di questa paradisiaca, immobile felicità, della totale unità, è purtroppo uno stato sfuggente e transitorio: già il nome stesso del personaggio rimanda a qualcosa di irraggiungibile, a un miraggio che ci sfugge nel momento stesso in cui crediamo di averlo fatto nostro. Percival non parla mai, nemmeno indirettamente, e ciò è assai naturale: lui si muove sul piano delle emozioni più profonde sulle quali il linguaggio verbale, che definisce, distingue, separa una cosa dall'altra, non ha alcuna presa. Conta poco rilevare che Percival, pur nel suo silenzio, partecipa completamente all'ambiguità e alla complessità della vita: non è, infatti, soltanto il principio ordinatore che dà senso all'esistenza, ma è anche un ragazzotto maschilista e forse anche un po' fascista: si interessa soltanto alla competizione sportiva e ama guidare militarmente la sua squadra, enfatizzando molto quegli aspetti di disciplina formale - la assoluta contemporaneità dei gesti - che stanno molto a cuore ai militari perché in essi vedono il fondamento di un senso di appartenenza cieco e assoluto. Conta poco anche sapere che il modello ideale per questo personaggio - quanto meno per il suo lato positivo - sia stato l'amatissimo fratello Thoby (il 7 febbraio 1931, avendo appena completata la prima stesura di Le Onde, V. scrive nel suo diario: Comunque è finita; e sono rimasta seduta in questi 15 minuti in uno stato di gloria, di calma, e con qualche lacrima pensando a Thoby e se potrei scrivere Julian Thoby Stephen 1881-1906 sulla prima pagina. Credo di no.), ciò sottolinea il coinvolgimento emotivo di V. nella stesura di questa opera e quanto in essa vi sia della sua stessa vita, ma di questo fatto abbiamo evidenze ben più importanti e significative nelle emozioni e nei sentimenti dei suoi personaggi, in ogni singola pagina del romanzo. L'irraggiungibilità di Percival è, poi, sottolineata definitivamente dalla sua morte improvvisa in terre lontane.

Percival sta dunque a un'estremità dell'oscillazione del pendolo: egli è l'unità e la felicità. Ma l'unità è uno stato, oltre che transitorio, molto pericoloso perché i sentimenti che la generano sono molto poco rispettosi e discreti e la loro stessa natura è ambigua e rischiosa. Diamo ancora la parola a V.: Per il desiderio di distinguerci abbiamo esasperato i nostri difetti, le nostre qualità. Ma sotto una catena vortica, turbina in un cerchio azzurro-acciaio. È odio, è amore… è un torrente infuriato nero-carbone che dà il capogiro solo a guardarlo. Ci teniamo su una sporgenza, ma se guardiamo giù ci vengono le vertigini. È amore… è odio… Ma l'odio fra di noi quasi non si distingue dall'amoreFrom the desire to be separate we have laid stress upon our faults, and what is particular to us. But there is a chain whirling round, round in a steel-blue circle beneath. It is hate, it is love… That is the furious coal-black stream that make us dizzy if we look down into it. We stand on a ledge here, but if we look down we turn giddy. It is love… it is hate… But our hatred is almost indistinguishable from our love.. Al di sotto, dunque, di quel civile e amorevole sentimento di condivisione e di unione, paragonato in Al Faro al sollievo che si dànno due note, una grave e una acuta, quando si accordano fra loro, bisogna sapere che ribollono le pulsioni elementari - odio e amore, già individuate da Catullo Catullo - Carmina, 85: Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris / Nescio, sed fieri sentio et excrucior - che stanno alla base di ogni sentimento di unità (mai due persone sono più vicine di quando sono legate da amore o da odio) e che tendono all'annullamento di uno dei due, alla sua distruzione.

Se cercare di costruire l'unità, di raggiungere la felicità, è un esercizio rischioso, non lo è di meno il tentativo di rendersi liberi attraverso la costruzione autonoma del proprio sé. Per giungere alla coscienza di sé bisogna separarsi, bisogna opporsi anche a chi si ama, e allora la vita diventa una lacerazione infinita e incomunicabile perché si consuma nella solitudine e nell'incertezza di sé, che sono mostri che divorano l'anima, e tutti coloro che ci circondano sembrano trafiggerci con la loro indifferenza. Il sentimento più nefasto e distruttivo, per V., non è l'odio ma la gelida indifferenza e la vita è una lacerazione continua fino alla separazione definitiva, alla morte. Diamo di ciò un solo esempio: Bernard, nel ricapitolare alla fine dell'opera tutta la sua vita, ricorda l'infrangersi dell'unità originaria fra i sei personaggi ancora nella prima infanzia, rievoca le prime diverse sensazioni ed esperienze tratte dall'urto con una stessa realtà: Ma eravamo tutti diversi. La cera - la cera vergine che ricopre la spina dorsale si scioglieva in forme differenti per ognuno di noi. Il ringhio del lustrascarpe che faceva l'amore con la sguattera tra i cespugli di ribes, i panni gonfi di vento appesi al filo; l'uomo morto sul ciglio della strada; il melo, nudo al chiaro di luna; il topo formicolante di vermi; il lampadario che versava luce azzurra - la nostra cera bianca si tingeva, si macchiava di tutto ciò in maniera per ognuno differente. Louis si disgustò della natura umana, Rhoda della nostra crudeltà; Susan non poteva condividere nulla; Neville ha voluto l'ordine; Jinny l'amore; e così via. Nel separarci, abbiamo sofferto tremendamenteBut we were all different. The wax - the virginal wax that coats the spine melted in different patches for each of us. The growl of the boot-boy making love to the tweeny among the gooseberry bushes; the cloths blown out hard on the line; the dead man in the gutter; the apple tree, stark in the moonlight; the rat swarming with maggots; the lustre dipping blue - our white wax was streaked and stained by each of these differently. Louis was disgusted by the nature of human flesh; Rhoda by our cruelty; Susan could not share; Neville wanted order; Jinny love; and so on. We suffered terribly as we became separate bodies.. La costruzione della coscienza di sé è dunque un processo liberatorio e vitale, assolutamente inevitabile, ma altrettanto certamente è sorgente di sofferenza e di infelicità.

L'opposizione libertà-felicità che, per quanto abbiamo detto, può apparire astratta, programmatica e quasi ideologica, emerge gradualmente nel romanzo attraverso le vicende, tutte umanissime e spesso commoventi, dei sei personaggi ciascuno dei quali sviluppa il suo colore, il suo carattere dominante man mano che il tempo passa e le onde della vita lasciano su di loro la propria impronta indelebile. I personaggi, si sa, sono tre uomini e tre donne; la distanza tra donne e uomini è qui meno accentuata che in altri romanzi, resta però una differenza assai significativa: le donne entrano in rapporto con la vita, propria e altrui, in modo diretto, saltando ogni mediazione, attraverso le emozioni, i sentimenti elementari che stanno alla base di tutto; esse sono molto prossime a quella corrente oscura, travolgente e inarrestabile che scorre al di sotto della razionalità, nelle inesplorate profondità dell'inconscio.

Susan è una divinità ctonia, radicata nella terra e negli affetti familiari - il padre, i figli (non il marito) - Le sole espressioni che capisco sono le grida d'amore, di odio, di rabbia e di doloreThe only sayings I understand are cries of love, hate, rage and pain. ci dice, manifestando la sua ripugnanza per l'astrattezza della scuola e della cultura ufficiale. Il sentimento che la anima è la possessività verso le persone e verso le cose.

Jinny vive completamente immersa nella propria fisicità, il movimento e la seduzione sono la sua cifra costante: Non immagino nient'altro al di là del cerchio che il mio corpo proiettaI can imagine nothing beyond the circle cast by my body., afferma, e a lei si devono travolgenti e gioiose scene d'amore.

Rhoda è la figura più commovente e coinvolgente di tutta l'opera: la continua angoscia di cui è preda per l'assoluta incapacità di costruirsi un'immagine di sé che non vada in pezzi al primo incontro con la realtà ha l'inconfondibile accento della verità. Se Susan dà voce alla profonda nostalgia di V. per una maternità che non ha avuto, Rhoda vive le angosce di V. e le sue crisi tremende e finirà col suicidarsi.

Gli uomini, invece, non possono rinunciare alla mediazione della mente e della cultura che, di fronte all'urto della vita, offrono loro molte onorevoli scappatoie e vie di fuga. Con tutto ciò non vi è ombra, in questa opera, di polemica anti-maschilista e le figure maschili non hanno traccia della violenza e dell'egoismo che connotano così intensamente altri personaggi di V., dal professor Ramsay a Peter Walsh a Charles Tansley.

Louis vive un doppio disagio: si sente diverso, ridicolo e non accettato dal gruppo degli amici per la sua origine coloniale e per la difficoltà ad avere rapporti non ansiosi col suo prossimo. Solo la consapevolezza tutta mentale di far parte della storia, di essere un anello di una infinita catena di generazioni che ha origine nel più lontano passato gli consente di definire il proprio ruolo e ha quindi il potere di rassicurarlo. Inoltre è povero e per quanto sia il migliore studente della scuola non potrà andare all'università, ma diventerà un abile e fortunato uomo d'affari.

Neville è nato letterato, ma darebbe tutta la sua cultura classica per la possibilità di conquistarsi l'amore di chi ama - Percival - che invece sente come irraggiungibile, anche per la propria scarsa avvenenza. V. sottolinea frequentemente l'acutezza di ingegno e la tagliente severità del giudizio di Louis e Neville: attraverso la lente della figura paterna queste sono le qualità dell'animo maschile che V. tiene in maggior conto.

Bernard è il personaggio più sfaccettato: si realizza ed esiste solo quando entra in rapporto con gli altri, con chiunque altro, anche in modo indiretto, tramite la mediazione di una storia immaginata (c'è qui l'eco delle vite possibili che però non abbiamo vissute, che sarà uno dei temi principali dell'ultimo romanzo di V. Fra un atto e l'altro). Bernard è nato narratore e le sue storie creano unità, dànno sollievo e aiutano a capire le cose della vita. Delle nove sezioni di cui si compone l'opera, sette sono aperte dai monologhi di Bernard (una a testa da Neville e da Louis, nessuna dalle donne); Bernard incarna la necessità di raccontare che ha animato V. per tutta la sua vita: egli - e V. con lui - non sarebbe nessuno se non potesse raccontare qualcosa a qualcuno.

I sei personaggi, nella loro monocromaticità, sono dunque altrettante facce di un'unica persona, e le loro vicende, fuse insieme, costituiscono la trama di un'unica esistenza: questo è un buon esempio di quell'arte di rappresentare la complessità di cui V. è maestra. Il 28 maggio 1929, pensando al romanzo che stava per iniziare, V. scriveva Potrebbe essere chiamato autobiografia: certamente i sei personaggi la rappresentano, ma rappresentano anche ciascuno di noi attraverso non soltanto i loro sentimenti, ma anche la loro quotidianità. Sappiamo come V. utilizzi i gesti quotidiani riuscendo sempre a caricarli di una straordinaria valenza simbolica e a costruire, per loro tramite, la sostanza narrativa dei suoi personaggi; anche in Le Onde questa sua capacità è evidente in ogni pagina, con una differenza rispetto alle altre opere: la quotidianità dei personaggi è affidata a gesti non solo minimi, ma che non appartengono strettamente al singolo personaggio. Sono gesti che ciascuno di noi compie un'infinità di volte: salire una scala, guardare il paesaggio dal finestrino del treno, entrare in un ristorante, prendere un taxi. Sono gesti universali, fuori dal tempo, elementari come i sentimenti - odio, amore, angoscia, felicità - che animano i personaggi: non è quindi solo la loro vita che è descritta, né solo quella di V. o la nostra, è la vita di tutti gli esseri umani, in ogni tempo e in ogni luogo.

Ragionando intorno alla tecnica utilizzata da V. per rappresentare la complessità della vita siamo così ricondotti a considerare la caratteristica più appariscente dell'opera: la sua struttura e il linguaggio utilizzato. In questi due aspetti sta la carica innovativa, la scommessa temeraria di V. Il linguaggio ha costantemente la densità e la musicalità di un'opera poetica, e V. era naturalmente del tutto consapevole di ciò: immaginando la sua opera scriveva il 7 novembre 1928: Sì, ma "Le Falene"? Dovrebbe diventare un libro astratto, mistico, cieco: una poesia; e ancora il 20 agosto 1930, nel bel mezzo della scrittura: Le Onde penso si risolverà (sono a pagina 100) in una serie di soliloqui drammatici. Il problema è farli andare omogeneamente su e giù, al ritmo delle onde. Possono essere letti consecutivamente? Proprio non lo so. Credo che sia la più grande opportunità che sono stata capace di dare a me stessa: quindi immagino che sarà un completo fallimento. Eppure ho un grande rispetto di me stessa per aver scritto questo libro. Sì, anche se mostra i miei difetti congeniti. E il 2 settembre 1930: Questo ritmo (sostengo che sto scrivendo The Waves seguendo un ritmo e non una storia) è in armonia con quello dei pittori. Ed è proprio così: V. più che un romanzo ha scritto un'opera poetica - l'aggettivo mistico che ricorre più volte nel Diario si riferisce alla connessione diretta che la narrazione ha con l'interiorità dei personaggi anziché con i fatti e gli eventi della loro vita - o anche, forse più appropriatamente, un'opera musicale. Le Onde ha infatti la struttura di un sestetto e le sei voci, i sei strumenti, dovrebbero risuonare contempo- raneamente, sovrapponendosi, integrandosi e spiegandosi a vicenda: ciò naturalmente non è possibile, e quindi tocca al lettore lo sforzo supplementare di sovrapporre le voci e considerare il risultato finale. Un'altra prova della struttura musicale di questa opera è data dall'utilizzo della ripetizione: figura retorica molto frequente in V., qui la ripetizione non serve per esprimere, come in altri romanzi, un'ampia varietà di stati d'animo, ma funziona piuttosto come un "da capo" in musica, come la ripresa di un tema precedentemente già enunciato. V. stabilisce un implicito parallelo fra il suo romanzo e un'opera pittorica: il colore e la luce giocano infatti un ruolo essenziale nella narrazione e non solo negli interludi, in cui sono assolutamente dominanti; i colori, così come anche gli odori e le sensazioni tattili, sono frequentemente utilizzati per rappresentare gli stati d'animo dei personaggi (ricordiamo solo il color giallo oro che traduce la felicità fisica di Jinny).

Si comprende dunque quanto impegnativa sia la lettura di questa opera, però V. non abbandona mai il suo lettore, gli fornisce sempre le chiavi interpretative necessarie per la comprensione del testo, e quindi si capisce Leonard Woolf quando - leggendo per la prima volta come primo lettore l'opera della moglie - diceva (il 19 luglio 1931) È un capolavoro - ha detto Leonard venendo stamattina nel mio appartamento - è il migliore dei tuoi libri. Aggiungendo anche che pensava che le prime 100 pagine fossero estremamente difficili, e non sapeva fin dove il lettore comune avrebbe potuto seguirle; ma bisognerebbe rassicurarlo: il libro ha sì dei punti molto difficili, che sembrano quasi ermetici (soprattutto in quelle pagine, non molte, in cui la narrazione è un po' più faticosa e il simbolo non si scioglie completamente nella poesia), ma un "lettore comune" motivato e attento trova sempre nel testo la chiave interpretativa giusta.

Per rispondere poi a un altro quesito, questa volta posto dalla stessa V., sulla possibilità o meno di leggere consecutivamente i monologhi, dobbiamo dire che non solo si può, ma si deve, perché i monologhi non sono mai isolati, ma sono sempre concatenati l'uno all'altro sia dal contesto sia da espliciti rimandi; in qualche caso alcuni di essi costituiscono un vero e proprio dialogo. Il linguaggio utilizzato da V. non segue i personaggi man mano che avanzano nella loro vita: quando sono bambini si esprimono con lo stesso linguaggio che utilizzano da adulti o da vecchi, solo la complessità delle loro argomentazioni si accresce man mano che il tempo, passando, lascia i suoi segni nella loro mente e nel loro cuore.

Le Onde, infatti, è organizzato in nove sezioni in ciascuna delle quali succede qualche cosa, i personaggi compiono esperienze per qualche verso decisive - la separazione dalla famiglia e dagli amici, l'incontro con l'amore e con la morte, la coscienza della vecchiaia - che arricchiscono le singole personalità che, pur rimanendo strettamente coerenti con se stesse, si articolano in modo sempre più complesso. Per rimanere nella metafora musicale, ogni personaggio è un suono inizialmente puro, con una sola frequenza, che, via via che il tempo passa e la narrazione procede, si arricchisce di armoniche sempre più estese. Ogni sezione è un'onda di vita che avvolge, modella e talvolta anche sommerge i protagonisti.

Prima di ogni sezione vi sono degli interludi lirici in cui viene descritto il sorgere, l'avanzare e il tramontare del sole sopra un paesaggio marino caratterizzato dall'assoluta assenza dell'uomo, ma in cui la luce del sole, che progressivamente inonda il creato per poi ritirarsi e spegnersi, rinvia direttamente alla presenza dell'uomo che con la sua mente e le sue emozioni dà senso e vita all'universo. Ma sentiamo cosa ci dice V. a questo proposito il 26 gennaio 1930: Gli interludi sono molto difficili, ma credo essenziali; fanno da ponte e anche creano uno sfondo - il mare, la natura insensibile - non so. Ma credo, quando provo questa sensazione di immediatezza, che deve andar bene così. Gli interludi sono effettivamente difficili, anche se V. alludeva alla difficoltà dello scrivere e non a quella del leggere, e hanno più di un ruolo: uno è quello individuato da V., creare uno sfondo su cui proiettare le vicende umane, lo sfondo è la natura eterna, crudele e indifferente, che rende così più drammatiche ma anche molto più piccole le tragiche vicende umane.

Considerando le interazioni fra gli interludi e la narrazione (sempre gli interludi anticipano la narrazione, eccetto l'ultimo che la conclude) siamo condotti a esaminare l'ultimo grande tema del romanzo: dopo la divaricazione fra felicità e libertà, dopo la rappresentazione della complessità della vita c'è il tema del tempo. Da questo punto di vista Le Onde discende direttamente da quella straordinaria seconda parte di Al Faro, che si intitola, appunto, Il tempo passa; qui è molto accentuata la presenza delle tre diverse dimensioni temporali che continuamente interagiscono e confliggono fra loro. La prima è quella, lineare, del tempo della vita umana che procede inarrestabile dalla nascita verso la morte. È il tempo di cui fanno esperienza tutti i nostri personaggi, che più di una volta infatti sottolineano l'avanzare della loro età anagrafica. La seconda dimensione è quella psicologica dell'immobilità: se il tempo della vita scorre inarrestabile esso, nell'animo dei protagonisti, non passa mai, è assolutamente immobile, le esperienze si accumulano dentro di loro restando tutte sempre presenti e vive, per essi c'è solo un presente infinito che assorbe tutto il passato, mentre non esiste il futuro: non ci sono speranze, non progetti di vita, solo qualche vaga aspettativa, in età giovanile e non per tutti. L'assenza del futuro, il silenzio della speranza è forse l'aspetto più drammatico della visione che V. ha del mondo e dell'uomo. Significativamente tutti i monologhi utilizzano un insolito, per la lingua inglese, indicativo presente, mentre tutti sono introdotti da un passato remoto (Bernard said, Rhoda said…) che proietta tutta la vicenda in una dimensione atemporale o di tempo immobile e anche tutti gli interludi sono al passato remoto. La terza dimensione è quella ciclica, che ritorna eternamente su se stessa, propria degli interludi, del tempo della natura, di un cosmo vuoto di uomini perché non sono ancora apparsi oppure sono scomparsi da millenni. Qualunque sasso sopravviverà alla fama di Shakespeare: questo è il dramma del professor Ramsay, che si chiede per quanto tempo il mondo si ricorderà di lui, e questo è il dramma che scaturisce dal conflitto fra il tempo lineare dell'uomo e quello ciclico della natura; naturalmente considerato dalla parte della natura il dramma scompare perché l'uomo è un puro accidente, una semplice imperfezione da cui prima o poi ci si libererà senza scosse.

Gli interludi, dunque, rappresentando l'alternanza del giorno e della notte stabiliscono una corrispondenza tra la vita umana e il ciclo diurno, corrispondenza a cui V. è molto affezionata e che ritroviamo spesso come elemento costitutivo della struttura delle sue opere (particolarmente evidente in Mrs. Dalloway e Tra un atto e l'altro); questo ciclo rinvia al ciclo vitale dell'uomo, al succedersi eterno delle generazioni tanto che, nella prima stesura del romanzo, come nota la Fusini, le onde sono materne e vengono raffigurate come molte madri, e molte altre madri ancora, e dietro di loro ancora altre madri, che sprofondano e cadono e s'abbattono, e ognuna di loro regge sulla cresta un figlio. Un secondo legame fra gli interludi e la narrazione è dato dall'unica presenza animata, gli uccelli, che con il loro canto, il loro volo, il loro inesorabile piombare sulle prede alludono trasparentemente alle vicende narrate nella sezione successiva.

L'ultimo, brevissimo interludio Le onde si ruppero a rivaThe waves broke on the shore. che conclude l'opera merita un'attenzione particolare. Bernard, al termine del suo ultimo, grande monologo che ripercorre e interpreta l'intera vicenda, ormai vecchio vede approssimarsi sempre più lo strappo finale, la separazione definitiva che lo allontanerà da tutto e allora capisce che nulla possono le sue parole, aeree, impalpabili creatrici di vita, di speranza e di unità e il suo grido di ribellione, che suggella l'atto eroico del vivere, quel vivere quotidiano che è l'unico ad avere senso e a cui V. è interessata, si proietta sullo sfondo dell'infinito, eterno, vuoto e indifferente oceano cosmico, solo raramente - quanto raramente! - solcato in lontananza da una pinna, che subito si immerge.